La sottoveste di seta
by HenryAnaisПосмотрели: 241 раз Комментарии 4 Date: 28-09-2022 Язык:
Ho gli occhi chiusi, sento il profumo opulento e dolce delle peonie che mi riempie le narici.
Attraverso le palpebre percepisco la luce del mattino; lievi lampi dorati che mi pizzicano le orbite ancora inattive.
C’è molto silenzio, sento soltanto un respiro ed un alito caldo sulla mia pelle nuda.
Apro gli occhi lentamente, come quando si fà finta di dormire e non si vuole essere scoperti.
Vedo il suo volto appoggiato al cuscino, è sereno, una leggera curva sulle labbra come un sorriso.
La pelle abbronzata crea un delizioso contrasto con la federa candida… rimarrei qui a guardarlo x ore.
Gli accarezzo una guancia con l’indice, ci si appoggia dolcemente, come un gatto ruffiano in cerca di coccole.
Le lenzuola lo coprono sino al petto. Un raggio di sole che sfugge dalle tende di lino bianco si posa sulla sua spalla, dove una sottile spallina di seta color cipria, fà capolino innocente e malandrina. Una sorta di primadonna che non vuole farsi dimenticare dopo la sua ultima sfavillante interpretazione.
Mi perdo in questa diapositiva fastosa, nell’incantevole dualità che incarna quest’uomo.
Ha indosso la mia sottoveste di Chantal Thomass acquistata a Parigi.
Tiro giù il lenzuolo col piede per scorgerlo meglio, ma si volta di spalle scoprendosi completamente.
Vorrei correre a prendere la macchina fotografica per cristallizzare questo splendore. Ma sono troppo pigra e se conosco bene la luce, non è certo un tipo che sta lì ad aspettare che tu sia pronta ad immortalarla.
Pelle, seta, muscoli, dolcezza, innocenza, silenzio, passione, desiderio…. Una moltitudine d’emozioni si agitano nel letto, di fronte al mio sguardo torpido.
A volte mi chiedo cos’abbia fatto di così dannatamente giusto nella vita, per meritarmi uno spettacolo del genere ogni mattina.
È come poter andare a teatro tutte le sere gratis.
Mi alzo, ho bisogno di una tazza di tè.
Apro la mia scatola bianca in legno intarsiato marocchino, e scelgo una bustina di Mariage Freres alla lavanda e menta rosata.
Scaldo l’acqua nel bollitore, e riempio la mia tazza di vetro col doppio fondo.
Mi siedo sulla poltrona davanti al letto, e seguito a guardar la bella addormentata.
D’improvviso apre gli occhi e x un attimo sussulta vedendomi seduta lì a fissarlo.
Con la voce un pò rauca, mi dice “buongiorno Mon Amour” mi sorride con gli occhi.
Due meravigliose pepite verdi, che sembrano aver divorato l’intero Kensigton Garden.
Si alza, si sfila la sottoveste riponendola delicatamente su una sedia, perfettamente distesa, come a togliersi la livrea da controfigura.
Ed eccolo dinnanzi ai miei occhi nuovamente uomo, nella sua sprizzante virilità.
Avverto un'invitante e pulsante guizzo là sotto, proprio mentre mi si avvicina, e sento un lieve calore invadermi…
Sorrido, ad entrambi, e lo bacio sulla bocca.
Un bacio umido che profuma di generose e torbide intenzioni.
Mi dice “vado a fare la doccia, aspettami piccola” e si allontana mostrandomi il suo eccitante culetto bianco.
Restiamo io e la sottoveste di seta, una di fronte all’altra che ci studiamo come due nobildonne.
Mi verrebbe quasi di farci due chiacchiere, offrile una tazza di te…
Ha abbandonato una parte di sé su quella sedia, come si fosse tolto la pelle… penso a come sarebbe farmici una borsa, una splendida Kelly interamente realizzata colla pelle del mio uomo.
Mi crogiolo in questo macabro pensiero fashionista, e termino ciò che rimane del mio tè.
Decido finalmente di alzami, ho indosso solo una canotta di cotone grigio mélange chiaro e uno slip in tulle rosa confetto, mi manca solo il caschetto rosa shocking.
È una giornata calda, ma c’è una piacevole brezza che entra dalla finestra, una di quelle giornate che si prestano unicamente al dolce far nulla, o meglio ancora al dolce far “tutto” ma in due.
Metto su il caffè, io non lo bevo e a dirla tutta non lo sopporto proprio, ma adoro il borbottio arrogante della moka, ed il profumo tostato che invade la casa.
Prendo un paio di muffin ai mirtilli, i suoi preferiti e li poso sopra un piatto.
Accendo il computer per mettere su un po’ di musica, scorro la playlist e scelgo Edith Piaf, giusto un sottofondo.
Sento i suoi passi e lo vedo arrivare a petto nudo con indosso i pantaloni della tuta. È a piedi nudi, ammetto di avere una vena feticista, ma ha davvero dei piedi notevoli, potrei mettergli lo smalto…
Sghignazzo allegra e lui mi chiede a cosa sto pensando.
Glielo dico e mi guarda dal basso verso l’alto con quello sguardo di chi non aspetta altro.
Facciamo colazione parlando di smalti, di musica, della Via en Rose. Ci prendiamo in giro, ridiamo e ci stuzzichiamo di continuo.
Un'idea fenomenale prende immediatamente forma nella mia mente.
Ripenso alla spettacolare luce di poco fa, al riflesso che creava sulla seta lucida, al contrasto con la pelle abbronzata e con la leggera peluria.
Rifletto. Perché no.
Mi avvicino al suo orecchio, gli sussurro “ho un idea”
lui mi risponde “anch’io” so esattamente a cosa sta pensando e per attimo sono tentata di metter giù questo muffin burroso e gettarmi sopra si lui.
Ma non ora, magari dopo, anzi sicuramente.
“oggi mi farai da modella!” dico improvvisamente.
Lui strabuzza gli occhi. “in che senso” mi chiede.
“nel senso che voglio fotografarti con la mia sottoveste. Ma prima devi farti la barba”
Gli salto in braccio più languida che mai, eccitata e compiaciuta con me stessa.
Lo bacio profondamente, ed un miscuglio di muffin, caffè e desiderio mi accarezzano il palato. Un mix delirante, come un filtro d’amore si impossessa di me.
Sento che sto diventando più alta di qualche cm, che qualcuno qui sotto spinge contro le mie mutandine, ed il tulle sottile si inumidisce.
Mi tira indietro la nuca tirandomi i capelli con dolcezza e mi sussurra fra i denti “sapevo che avevamo la stessa idea…”
Devo dargli ragione, il mio corpo si muove come una marionetta fra le sue mani, desidero quest’uomo, non riesco a fare meno del suo corpo, della sua bocca, della sua voce profonda che mi trafigge come una lama affilata…
Mi solleva improvvisamente e mi poggia sul piano della cucina, sento l’acciaio duro e freddo sbattere contro le natiche. Mi spalanca le gambe, mi offro a lui come un sipario straripante.
“posso sapere quale dei tanti protagonisti sta recitando questa scena?” gli chiedo mentre inarco la schiena.
“Anastasia stai zitta!” mi abbaia irruente. Bentornato Christian, e tutto il mio corpo si scioglie in un fragoroso applauso.
È come giacere ogni volta con un uomo diverso, anzi con un entità diversa… la sua personalità ha più facce di un prisma, ora dominate e dispotico, poi dolce e romantico, per trasformarsi successivamente in una sgualdrina da 10 cent a marchetta, e poi di nuovo in una gentildonna che passeggia vanitosa per la Croisette.
Mi diverte questo zapping erotico.
Mi sta annusando, sento il suo respiro attraverso la biancheria, mi divarica le gambe ancora di più, mi sento spaccata in due come una pesca.
“sei talmente bagnata che è come intingere il pennello nella vernice”
mi dice mentre mi esplora delicatamente con un dito.
Il suo incantesimo su di me sta prendendo il sopravvento, mi gira la testa e sento sciogliermi come burro sul pane tostato…
Inspiegabilmente mi ritrovo a dire, “ho voglia di fare un bagno”
Alza il viso, mi guarda beffardo
“siamo capricciose come sempre mia dea… potrei fare 2 cose adesso; girarti a pancia in sotto, sculacciarti e poi fotterti, oppure come una Sissy obbediente, andare a prendere il tuo olio da bagno preferito e versarlo sotto il getto dell’acqua tiepida”
Passano 10 secondi interminabili, in cui ci fissiamo così vivamente, da sembrare incastrati, quasi a voler toccare il fondo dell’altro.
Sento i suoi tendini contrarsi, vedo la sua mandibola attraverso la barba farsi tesa, i suoi occhi di smeraldo tingersi di petrolio. Deglutisce. Ed il cuore prende a battergli così forte da riempire la stanza di rombi e le pareti di pioggia.
Conosco perfettamente quella mente, mi nutro della sua immaginazione ogni fottutissimo giorno, e voglio giocarmi quest’intrigante partita a scacchi fino alla fine, anche se il mio cuore è il suo letto.
“quello al Gelsomino di Lola’s Apothecary, ce né un flacone aperto nel mobile” pronuncio flebilmente.
E riprendo a respirare.
Mi regala quel suo sorriso magnetico a cui non posso resistere, da pubblicità di Dolce e Gabbana, “avresti potuto anche non rispondere, conosco ogni tua frivolezza , e quando ti metti in testa qualcosa sei più cocciuta d’un mulo”
Mi bacia delicatamente sulla fronte, come una bimba il suo primo giorno di scuola e va verso il bagno.
Stavo soffocando, mi sento come un sub che riemerge dopo ore di apnea.
Scendo dal piano della cucina, mi rimetto in ordine e lo raggiungo in bagno. Subito un intenso aroma dolciastro mi invade. È chinato sulla vasca, l’acqua la riempie per metà.
Adoro la nostra vasca da bagno. Ricordo ancora quando l’abbiamo scelta su quel sito vintage, è in ghisa color tortora coi profili bianco latte, la forma è a catino come quelle d’un tempo e i piedini deliziosi da leone, sono il mio pezzo preferito.
Difficile non sentirsi Cleopatra, se non fosse per il fatto che non posso permettermi di fare il bagno nel latte d’asina. Imbronciata per la mia manchevole borghesia, mi spoglio ed entro nell’acqua appena tiepida.
Mi rannicchio in un angolo e col dito gli indico il lato opposto, attendo.
Mi sembra tentennare un attimo, ma poi rassegnato si sfila i pantaloni della tuta e mi raggiunge.
Siamo entrambi avvolti nel profumo corposo del gelsomino, in silenzio e con gli occhi chiusi.
Dalla cucina arrivano debolmente le note di “Non Je ne regrette rien” una delle nostre canzoni preferite, potrei azzardare la nostra canzone d’amore.
Sento che da sotto l’acqua mi prende un piede, lo tira fuori e inizia a baciarmelo, mi prende l’alluce in bocca e lo succhia guardandomi intensamente, poi si placa e prende a massaggiarmelo.
È faticoso.
Per diversi minuti continuo a ripetermi ma cosa diavolo ti dice la testa! È lì bello come il sole, col tuo piede fra le mani, e ti desidera… come un bicchiere di cola ghiacciata il 15 d’agosto.
Mi alzo vado verso di lui, con la mano cerco la sua erezione, che mi trova ancor prima d’accorgermene. Inizio ad accarezzarlo e a baciarlo dolcemente come fanno due amiche quando giocano a fare le lesbiche.
È tutto così tremendamente perfetto.
Le nostre lingue si intrecciano come ceste di vimini, e le nostre dita tracciano percorsi familiari con lentezza e precisione.
Mi prende per i fianchi e mi attira a sé, mi mette seduta sopra di lui, e in un attimo mi sento riempita, straripante come una pignatta a Carnevale.
Mi muovo sopra di lui, il mio ventre mi implora. Mi tiene per i fianchi e sento il suo respiro farsi più pesante.
Odio perdere, soprattutto quando gioco a scacchi, ma questa volta è inevitabile. Il mio corpo e la mia mente sono completamente inginocchiati al suo volere, supplicanti come d’innanzi ai sacri altari.
Ci muoviamo con un ritmo straziante, lento e morboso, mi spreme le natiche come fossero due arance, sento le sue dita conficcate nella carne, mi spinge verso il suo corpo e sul suo membro con avidità. Sento invadermi da un fuoco bruciante, un incendio s’impossessa dei miei sensi, e d’un tratto non ho più forze.
Mi accascio sopra di lui, come una foglia bagnata sull’asfalto in un giorno di pioggia.
Lo amo. E tutto quanto sembra non avere più senso, oppure esattamente l’opposto. Ogni volta che mi unisco a lui è come se fossimo un solo nucleo di luce, una luce abbagliante che appanna completamente la vista, ed allora i tendini, i muscoli, la pelle, tutto è allo scoperto e non esistono limiti, non esistono regole né strade da percorrere.
È come vivere in un labirinto che cambia configurazione ogni giorno al nostro volere, dove ci sentiamo contemporaneamente persi e ritrovati.
Sento le sue braccia che mi stringono, mi accarezza la testa con la sua mano calda, mi sento come un pulcino bagnato. Annuso il suo petto, lo respiro, ci affondo dentro e per un attimo voglio rimanere così.
Per lui è lo stesso, lo avverto, la sensibilità che ci accomuna, è uno degli argomenti che maggiormente ci lega uno all’altra.
“tutto bene piccola?” mi sussurra all’orecchio.
Lo guardo, gli sorrido “non potrebbe andare meglio, anche se ho perso questa partita” dico mentre gli faccio l’occhiolino.
“la mia femminona testarda ed orgogliosa” mi prende in giro.
Usciamo dalla vasca e ci avvolgiamo negli accappatoi. Andiamo in camera e ci buttiamo sul letto, uno di fianco all’altra, fissando il soffitto, ed ancora una volta ci sentiamo come i personaggi di “Lost in Translation”
“stamattina andavi farfugliando di fare delle foto, ma credo che ti sei persa per strada” mi dice con tono orgoglioso, di chi sa perfettamente di avermi mandato in testacoda.
“sei uno stronzo” gli rispondo ridendo e tirandogli un pizzicotto “ne riparleremo quando avrò il mio frustino in mano, ed allora quest’onta sarà ripagata” e vorrei tanto saper fare la risata malvagia, quasi quasi ci provo… no sarei ridicola.
Dopo esserci asciugati e aver recuperato un briciolo di lucidità, vado nel mio studio, mi sedio e metto insieme le idee da sola, non ammetto altre “distrazioni”.
Eppure la mia mente non riesce a non viaggiare, ripercorre ogni singola emozione, come l’odore della sua pelle o il calore del suo corpo, la brama e poi l’immediato senso di sazietà. Una sazietà temporanea che lascia sempre la porta socchiusa; Un po’ come quando cucini le meringhe e devi tenere lo sportello del forno aperto per diverse ore, per controllare il grado di cottura.
Mi cade l’occhio su una nostra fotografia in bianco e nero che ho sulla scrivania, di fianco alla stampa incorniciata di Anne Leibovitz, che ritrae John Lennon e Yoko Ono.
Una foto sfocata, non è certo uno dei miei scatti migliori, autoscatti per la precisione, ma rappresenta esattamente ciò che siamo. Folli ed innamorati.
Frida Kahlo scrisse: Che cosa sarei io senza l’assurdo.
Ed è esattamente il nostro mantra. Siamo folli, folli d’amore per la vita. Abbiamo un prepotente bisogno di esistere. Di vivere ogni singolo giorno come se fosse l’ultimo, sbattendocene di tutte le “regole” che questa società ci impone.
Seguendo la nostra etica privata, inseguendo il nostro personale senso estetico, non amalgamarci con la massa.
Potremmo essere considerati dei “diversi” spesso ci hanno chiamato strani. Ma a noi non importa, perché sappiamo perfettamente chi siamo e vogliamo essere fedeli a noi stessi.
Cosa ne pensi? Mi mormora alle spalle, distogliendomi dai miei pensieri.
Mi volto, e con mia grande sorpresa, mi appare una visione.
È lui, Si è appena rasato, posso percepire debolmente il suo dopobarba al sandalo.
Indossa la mia sottoveste, quella di stamattina, le mie autoreggenti di Dita Von teese in seta color carne, ed è avvolto in una stola di cachemire rosa antico con dei leggeri arabeschi ricamati ton sur ton.
È semplicemente incantevole, sfavillante come Rita Hayworth, un misto fra la raffinata eleganza di una diva degli anno 50 e la vezzosità dun’adolescente che ha rubato i vestiti alla madre.
Man mano che l’osservo vari dettagli attirano la mia attenzione, un bracciale rigido tempestato di strass gli impreziosisce l’avambraccio, e come tocco finale le labbra color rosso fuoco.
Con una mano si tiene circondata dalla stola, l’altra è appoggiata delicatamente al muro. Le gambe leggermente divaricate.
Non riesco a resistere, mi alzo e le vado incontro. Subito mi accorgo che il rossetto è leggermente sbavato, lo bacio sulla bocca con innocenza sussurrandole: non imparerai mai a mettere bene il rossetto, per nostra fortuna ci sono qua io… Sei pronto a trasformarti in una vera vamp mia cara Lili?
Abbassa leggermente lo sguardo con timidezza, e mi regala un sorriso pacato.
Certo mia Gerda, una semplice ragazza come me non potrebbe aspirare a tanta grazia.
E si avvolge ancor più nella stola come se d’improvviso fosse calato inverno.