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"Il tavolo d’angolo" PT1 USA language


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"Il tavolo d’angolo" PT1

by ablacar68
Viewed: 0 times Comments 0 Date: 21-08-2025 Language: Language


Il bar “Luna Nera” era uno di quei posti che sembravano esistere fuori dal tempo. Luci soffuse, arredi in legno scuro, e un profumo persistente di whisky e storie non raccontate. Al tavolo d’angolo, dove la penombra nascondeva più di quanto mostrasse, sedeva Clara. Quarant’anni, capelli scuri raccolti in uno chignon morbido, un filo di rossetto color bordeaux e un’espressione che sapeva di malinconia e ironia, mescolate con cura. Era vedova da due anni. La ferita era ancora lì, ma aveva smesso di sanguinare. Ora lasciava solo una strana fame. Di vita. Di sguardi. Di qualcosa che la risvegliasse.
Li notò subito quando entrarono. Lui aveva l’aria di chi è abituato a essere osservato ma finge di non farci caso. Lei, elegante e sicura, con un sorriso gentile ma occhi che cercavano altro. Erano belli, troppo belli per quel posto un po’ stanco. Si sedettero a qualche tavolo di distanza. Una bottiglia di vino. Risate basse. Mani che si sfioravano con intenzione. Clara distolse lo sguardo, ma solo per qualche istante. Quando lo alzò di nuovo, incontrò gli occhi di lui. Non fu uno sguardo accidentale. Fu un invito. Calmo. Sicuro. Più tardi, quando la coppia si alzò per andare via, lui si fermò davanti al suo tavolo. La moglie, appena dietro di lui, la osservava con la stessa curiosità trattenuta. «Ti va un ultimo bicchiere?» chiese lui, inclinando la testa verso il loro tavolo. Non serviva spiegare. L’aria attorno a loro era densa, satura di ciò che non veniva detto. Clara li seguì.
Il vino scivolò nei bicchieri, rosso e lento, come il modo in cui si parlavano. Nessuno di loro era lì per caso. Le battute erano lievi, ma cariche. Le dita si avvicinavano, come se cercassero un pretesto per toccarsi. E sotto la superficie di quella conversazione apparentemente leggera, qualcosa cominciò a muoversi. Un gioco sottile di complicità, attrazione e desiderio in tre tempi. Nessuno prendeva il controllo, ma tutti sapevano dove stavano andando. Eppure, nessuno si mosse davvero. Non ancora. Il resto sarebbe venuto dopo. Forse quella sera. Forse un’altra. Ma in quel bar, al tavolo d’angolo, i confini si erano già spostati.

Clara osservava le loro mani: le dita di lei scivolavano sul bordo del calice, lente, quasi ipnotiche; le sue si muovevano con sicurezza, ogni gesto misurato, come se anche nel silenzio sapesse dire tutto. Ma era negli sguardi che accadeva il vero dialogo. «Da quanto vieni qui?» chiese la donna, con voce bassa, sfiorando il tono della confidenza. «Più spesso di quanto dovrei,» rispose Clara. «È un buon posto per sentirsi invisibili. O visti, se si ha voglia». Lui sorrise, inclinando leggermente il bicchiere in sua direzione. «Stasera non sembri invisibile affatto». Clara rispose con un sorriso sottile. Avvertiva quella vibrazione sotto pelle, quell’adrenalina gentile che non provava da anni. La sensazione che qualcosa potesse davvero accadere, senza fretta, ma inevitabilmente. La conversazione virò verso le storie. Libri, viaggi, piccole ossessioni. Ogni parola era solo un pretesto, un trampolino per restare lì, sospesi. Ad un certo punto, lei — la moglie — si sporse verso Clara, avvicinando il viso quel tanto che basta perché l’alito profumasse l’aria tra loro. «Sai che hai degli occhi bellissimi?»
Clara non arrossì, ma ci fu un piccolo lampo nei suoi — sorpresa mista a desiderio. Quella frase, da una donna, in quel momento, suonò come una chiave. «Grazie. Anche i tuoi non mentono. Guardano... come se sapessero già cosa vogliono». Un silenzio carico scese su di loro. Non era disagio. Era scelta. Lui li osservava entrambi. Complice. Uno spettatore partecipe. «Ti va di spostarci?» chiese lui, la voce profonda, quasi sussurrata. Clara lo guardò. Non servivano domande, né spiegazioni. Si alzò in piedi. Non lasciarono il bar in fretta. Nessuno si accorse davvero. Solo il barista, che incrociò lo sguardo di Clara mentre usciva: non disse nulla, ma accennò un saluto lento, come chi riconosce qualcosa di raro quando lo vede. Fuori, l’aria della sera aveva il profumo delle notti che non si dimenticano. L’appartamento era a pochi isolati dal bar. Quando Clara varcò la soglia, non seppe dire cosa la colpì di più: l’eleganza sobria degli ambienti o il modo in cui lui le fece spazio, appoggiando la mano leggera sulla sua schiena. Era un gesto semplice, ma pieno di intenzione. «Vino?» chiese la donna, già diretta verso la cucina aperta, come se sapesse che a Clara serviva un piccolo appiglio per non lasciarsi subito andare. «Sì, grazie,» rispose. La voce le tremava appena, ma nessuno lo fece notare. Lui si era seduto sul divano, gambe leggermente divaricate, le mani conserte. La osservava. Non come un predatore, no. Come uno che aspetta che la porta si apra, e non ha intenzione di forzarla. La bottiglia si stappò con un piccolo suono secco. Il liquido rubino si riversò nei bicchieri, e con esso qualcosa cambiò nell’aria: la tensione da gioco, da sguardi, cominciava a diventare presenza reale. Corpi. Presenze. Calore.

«Non facciamo questo spesso,» disse lei, la padrona di casa, porgendo il bicchiere a Clara. «Ma... ci sei sembrata diversa». «Diversa?» domandò Clara, alzando il bicchiere ma senza bere. «Come una donna che non ha paura di scegliere». Clara sorrise. Poi bevve. Fu il primo sorso. Poi venne il primo tocco. La moglie si era seduta accanto a lei, più vicina di quanto ci si aspetta da un’amicizia. Le dita sfiorarono la sua mano, poi rimasero lì. Immobili, ma cariche. Clara non si ritrasse. Anzi. Fu lei a voltarsi per prima, a guardarla con uno sguardo pieno di silenzi. Poi il viso si avvicinò, non troppo, ma abbastanza da farlo accadere: un bacio leggero, lento, il tipo che non si dà per provare, ma per sentire. Lui non intervenne. Guardava. I suoi occhi erano fissi su di loro, ma non c’era possesso né brama. Solo attenzione. Una tensione concentrata, quasi trattenuta. Il bacio divenne più profondo, le lingue saltarono fuori dalle labbra, la saliva si mischiava, gli occhi chiusi, piccoli morsi. Clara sentì una mano poggiarsi sulla sua coscia, lenta, accogliente. La pelle rispose, senza chiedere permesso. Poi sentì anche lui, dietro di lei, il suo respiro vicino, le mani forti ma contenute che le sfioravano la schiena nuda sotto la giacca aperta. Erano tre corpi, tre desideri diversi, ma curiosamente armonici. Non c’era fretta, nessuna gara. Solo un fluire lento, in cui ognuno ascoltava, offriva, riceveva. Quando Clara chiuse gli occhi, non era più la donna sola del bar. Era Clara. Viva, vista, desiderata. E per quella notte, bastava.

Clara si lasciò andare al divano come se fosse stato preparato per lei. Ogni gesto, ogni sguardo dei due amanti sembrava sincronizzato per accoglierla, come se non fosse un’aggiunta, ma un’invocazione che finalmente prendeva forma. La luce soffusa filtrava dalla lampada d’angolo, avvolgendo tutto in un’ambra calda. La musica, quasi impercettibile, batteva un ritmo lento che sembrava nascere dai loro respiri. La donna — si chiamava Elena, lo aveva detto poco prima, a bassa voce — si chinò su Clara, sfiorandole il collo con le labbra. Era un bacio senza fretta, che esplorava più che chiedeva. Clara sentì il corpo rispondere con quella lentezza vertiginosa che solo il desiderio maturo conosce. Intanto, Marco — il nome di lui — le si posizionò dietro, accarezzandole il fianco attraverso la stoffa leggera della camicetta. Non era impaziente. La sua forza era nel contenersi, nell’attendere il momento in cui ogni difesa sarebbe caduta da sola. Clara chiuse gli occhi. Sentì le mani di Elena slacciarle il primo bottone. Poi il secondo. E le sue mani, istintivamente, cercarono quelle di lei. Si intrecciarono. Non era solo erotismo. Era una forma di fiducia. Il corpo di Clara si piegò tra i loro due, come acqua tra due rive. I sensi si moltiplicavano, ogni tocco era una chiamata a una parte diversa di sé: il piacere che nasceva dalla pelle, certo, ma anche quello che nasce dal sentirsi cercata, scelta, desiderata. Non più sola. Non più chiusa nel passato. Fu Elena a sussurrarle, mentre le labbra le danzavano sullo sterno: «Se vuoi, ci fermiamo. Può restare così, solo questo.» Ma Clara scosse piano la testa. Le sue dita si strinsero un poco di più. «No. Va bene. Voglio esserci.
E allora i loro movimenti cambiarono. Divennero più decisi, ma mai invadenti. Le mani iniziarono a spogliarla come se liberassero, non togliessero. E Clara si sentì sciogliere, non solo nei gesti, ma dentro. Marco era silenzioso. I suoi baci le solcavano la schiena, seguendo il percorso aperto dalla camicia ormai dischiusa. Le mani forti la sorreggevano, mentre Elena la accoglieva tra le sue braccia e le sue cosce, come un’offerta reciproca. In quel momento non c’erano ruoli da definire, solo tre respiri che trovavano un ritmo comune. Una danza lenta e carnale, fatta di sguardi e gemiti sommessi, dove ogni gesto era domanda e risposta. E quando Clara si lasciò andare, finalmente, non fu un crollo. Fu una liberazione. Come se ogni carezza, ogni bacio, avesse tolto uno strato di qualcosa che non le serviva più. Si volto verso lui baciandogli il petto. Le sue labbra scivolarono avide fino alla patta. Clara slacciò il bottone dei pantaloni, abbasso la cerniera, infilò le dita negli slip e tiro fuori il membro, duro, di lui. Elena la guardava, mentre in piedi, baciava sulle labbra il suo uomo. Clara in ginocchio ingoio il cazzo di lui. La sua saliva bagnò il glande mentre la sua bocca, si fece avida verso i coglioni. Anche Elena si chinò verso il cazzo di Marco e con Clara, presero a succhiarlo in un pompino lento, ma deciso. Clara senti la sua figa bagnarsi. Come risvegliata da un letargo antico. E mentre succhiava il cazzo di marco prese a strofinare le sue dita sulla seta delle mutandine. Alle sue dita si accoppiarono le dita di Elena, ma più scostumate e invadenti. Elena sposto il bordo delle mutandine, accarezzo il pelo morbido, divaricò con pollice e indice le grandi labbra di Elena e d’un colpo infilò nella fica il suo dito medio.
Elena ebbe un piccolo sussulto e serrò le labbra sul pene di Marco. Lui le afferrò la testa tra le mani e trattenne il suo cazzo nella gola di lei per qualche secondo, a soffocarla. Clara affondava con forza il dito nella fica di Elena, per sentire il nettare caldo scivolare sui polpastrelli, mentre con l’altra mano si toccava la sua di figa.

Quella notte, Clara non tornò a casa.
E non se ne pentì. Nuda e fradicia di piacere, si sdraiò sul divano, divarico le cosce e chiese a Marco di scoparle la figa. Elena si sedette alle sue spalle, raccolse i capelli di Clara sulla sua pacia e mentre le accarezzava i capezzoli, si gustava Marco che lentamente le fotteva la figa. Clara chiuse gli occhi per sentire i colpi di Marco affondare nel suo ventre e con le mani cercare la testa di Elena per baciarle le labbra.

FINE PRIMA PARTE

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