HISTOIRE TITRE: la collezionista 
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la collezionista

by emiliohidalgo
Vu: 152 fois Commentaires 1 Date: 19-05-2022 Langue : Language

La mano destra di Stefania si insinua sotto la camicia di Tony, risale lungo la schiena striando la pelle con le unghie, sfiora i fianchi e si arresta sul petto stringendo il piccolo capezzolo tra pollice e indice. La sinistra atterra sulla natica corrispondente e la strizza con forza. La ragazza appoggia le labbra sul collo dell’uomo, appena profumato di dopobarba, le socchiude inumidendole con la lingua, avanza verso il lobo succhiando con intensità.
Ha ancora gli occhi chiusi e si muove come un felino nella notte, guidata dall’istinto. Li tiene così, serrati, sigillati dal momento in cui lui, poco prima, ha afferrato il manico della valigia e, sollevandola, le ha detto: «Sono stati due giorni magnifici, Ste; ma ora devo ripartire, il mio volo imbarca tra poco».
E lei, in tutta risposta, ha spento lo sguardo per trattenere il ricordo e l’ha abbracciato appoggiandogli la faccia nell’incavo della spalla. Poi ha aspirato forte perché qualcosa di lui restasse il più a lungo possibile in lei.
Sa che è giusto che lui vada, che un lavoro, una famiglia, un’altra casa lo aspettano a Roma. Sa che dovrà dirgli «vai». Sa.
Ma a volte sapere non basta.
E nemmeno volere.
Il suo corpo obbedisce a un comando più profondo di quello della mente.

Gli passa ancora le dita a pettine tra i capelli, scompigliandoli. Poi gli lambisce le labbra con la punta della lingua, affondando golosamente in bocca. Afferra il colletto alla francese e con un gesto secco e deciso strappa la camicia azzurra lungo la linea dei bottoni, che rimbalzano uno a uno sul pavimento, come perle di una collana.
Un tonfo segnala che la valigia è caduta a terra. E che Tony pregherà il tassista di correre più del solito. Che cercherà di saltare la coda al checkin. Che conterà su un ritardo di Alitalia.

«Scusa, la camicia», dice Stefania con gli occhi che ridono; poi lo bacia di nuovo, mentre le mani scendono lungo il petto e afferrano la zip della cerniera.
Lo prende in bocca senza riguardi, sperando anzi che un dente o un ferretto della lampo gli lascino un segno. Un ricordo. La sua personale circoncisione.
Lo gusta con foga, puntando dritto al suo piacere.
Vuole svuotare il suo sapore, prosciugare il suo vigore.
E non per permettergli di arrivare in tempo in aeroporto. Anzi, riuscisse a fargli perdere il volo sarebbe anche contenta. Ma perché non ama gli addii e vuole vederlo uscire al più presto da quella porta. Ma anche sentirlo ancora dentro di lei.
Sì, contraddittoria. “E allora?”, si dice.
Poi riprende a succhiare: per ottenere l’effetto che cerca, in definitiva, un pompino è ancora il meglio.

E Tony non oppone resistenza: si lascia godere, fino a quando sente di essersi sciolto dentro di lei e avverte l’umido sulla pancia e la scia delle sue labbra che stanno risalendo per baciarlo. Gli tremano le gambe e nella sua mente si fissa l’immagine di un piccolo orologio a muro, sulla parete che gli sta di fronte. E sa che quel ricordo, reso eterno dall’orgasmo, gli tornerà in mente ogni volta che penserà a Stefania. E si sente anche un po’ stronzo, perché ha già deciso che pian piano la lascerà uscire dalla sua vita, come si fa con le persone che si sono amate con forza ma senza profondità.
Così, senza smettere di fissare l’orologio, Tony si lascia spogliare della camicia lacera e si china sul trolley per prenderne una pulita.
«Questa la butto io…», sta dicendo Stefania, e lui non sa se parla della camicia o della loro storia.

* * *

Il profumo di Tony aleggia ancora nello stretto corridoio. Stefania guarda la porta di ingresso, sicura che se la aprisse ora lo troverebbe ancora sul pianerottolo.
“Porte viste di spalle”, potrebbe essere il titolo della mia autobiografia, pensa.
Ha in bocca il suo sapore di labbra e di sesso. Nelle mani un lembo della camicia.
Nuda, con quel fardello in mano, entra in cucina, prende dal tavolo un paio di grosse forbici. Appoggia la camicia sul piano e con cura, meticolosamente, taglia un quadrato nella zona dal colletto al taschino.
Lo stringe tra le mani e lo porta al naso.
L’odore della pelle sudata si mischia a quello del suo piacere e al lieve sentore del dopobarba.
Sorride soddisfatta, è un ottimo reperto. Uno dei migliori della sua collezione.
Tenendo con delicatezza in mano il tessuto, va ad aprire un mobile in camera da letto. Estrae una grossa scatola e la porta con sé sul letto.
Solleva il coperchio e contempla dall’alto centinaia di bustine di plastica riposte con ordine. Tutte uguali, viste da sopra, ma tutte diverse per il loro contenuto, accuratamente specificato all’esterno. Le fa arrivare apposta da un fornitore di materiale per laboratori. Sono in plastica resistente e a tenuta stagna.
E Stefania è una collezionista.
Una collezionista di odori. Ne ha esattamente 368, non solo di amanti, ma di amici, parenti, situazioni vissute. Le custodisce con cura, le bustine, nascoste in fondo all’armadio quattro stagioni.

Ne sceglie una sul lato sinistro, dove tiene quelle vuote. Annusa ancora una volta il pezzetto di camicia, poi apre il sacchettino e lo inserisce, richiudendo con cura. Con un pennarello indelebile a punta fine scrive: 369 – Tony – 20 ottobre 2011. L’odore alcolico dell’inchiostro le ricorda le altre centinaia di volte in cui ha compiuto quel gesto, sempre uguale, sempre diverso.
Come le altre volte, al momento di archiviare un odore, sente addosso una strana eccitazione, un senso di compiuto e di non compiuto al tempo stesso. Di potere e di perdita.
Allora decide di dedicarsi al suo gioco preferito. Prende la scatola dal ventre sicuro dell’armadio e la porta sul letto. Solleva il piumone con una mano e se lo tira sopra la testa. Nel buio delle coltri tasta le bustine. Ne sceglie una a caso, la apre e annusa.
Riesce sempre a riconoscere l’odore al primo colpo. Magari non ricorda il nome della persona, o l’anno, o il luogo; ma subito si sente trasportata in un punto preciso della sua vita.
Un viaggio a ritroso, che la smuove nel profondo.

Annusa.
Le lacrime le bagnano gli occhi.
Non è un odore qualunque, quello che ha pescato.
È l’ancestrale.
Il primo.
Quello che ha dato origine alla sua passione.

Ricorda le mani strette alla testata del letto, le sue ad afferrarle il bacino alle spalle, la lingua a fare da spartiacque tra il piacere e il dolore. La testa vuota, il corpo arreso. L’impressione di volare nella notte, copilota di un aereo guidato da un altro, la cloche che si muove da sola senza poterla controllare.
Lui non ha chiesto permesso, non ha dovuto domandare cosa le piacesse, ha intuito il suo corpo e le sue potenzialità, esplorandole una a una con determinazione e sapienza. Si è appropriato dei segreti del suo piacere senza domandare, e li ha oscenamente svelati in quella anonima stanza d’albergo. Una storia senza futuro, lo sapeva bene. “Ma con un grande presente”, pensava in quel momento. Aveva provato un piacere diffuso, crescente, ripetuto, senza mai poter dire dove avesse inizio e quando avesse fine.
E poi un pianto dirotto mentre l’orgasmo la investiva come un’onda. Lacrime di stupore. Lacrime di lutto per le esperienze precedenti, diventate insignificanti dopo quella notte. Lacrime di partoriente, per la nuova consapevolezza che sentiva ora dentro di sé.
Al mattino, mentre lui si attardava in doccia, aveva raccolto le poche ore di sonno nel pugno di una mano e con il cuore che le batteva a mille, per la paura di essere scoperta e per la sensazione di potere che provava, aveva sfilato una federa e l’aveva nascosta nella borsa.
Sapeva che non l’avrebbe più rivisto, ma avrebbe portato sempre con sé il profumo della notte in cui aveva scoperto fino a quale limite poteva spingersi il suo desiderio.
Un ricordo affondato nel più profondo della sua mente, dove solo la memoria di un odore può penetrare.

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