STORY TITLE: Madrid, due notti da ricordare a vita 
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Madrid, due notti da ricordare a vita

by Allforher
Viewed: 148 times Comments 0 Date: 13-12-2025 Language: Language

Prima notte

Entrai in quel locale latino di salsa nel cuore di Madrid, la musica che pompava forte, corpi che si muovevano come in un rituale pagano. L’aria era densa di sudore, profumo di rhum e desiderio. La vidi immediatamente: Marta, colombiana al 100%, capelli neri ondulati che le arrivavano alla vita, pelle color cioccolato caldo, e quel vestitino giallo attillatissimo che sembrava dipinto addosso. Le curve esplosive, tette che premevano contro la stoffa sottile, e soprattutto quel culo… rotondo, sodo, scolpito da anni di ballo, che ondeggiava già solo mentre stava al bancone.
Mi avvicinai, le offrii da bere, e in pochi minuti eravamo in pista. Salsa pura, corpi incollati dal primo passo. Le mie mani sui suoi fianchi, guidandola, lei che si strusciava contro di me senza pudore. Ogni giro, ogni ocho, era una provocazione: il suo culo perfetto che sfregava sul mio cazzo, già duro come ferro dentro i jeans. Sentivo il calore tra le sue cosce, il respiro affannato sul mio collo. Le mie dita scivolavano sotto l’orlo della gonna corta, sfiorandole la pelle liscia delle cosce, arrivando quasi al bordo del perizoma. Lei non si tirava indietro, anzi: premeva di più, gemendo piano nel mio orecchio con quell’accento colombiano che mi faceva impazzire.
«Hace meses que no le doy nada a mi marido… está flojo, la tiene muerta. Yo me muero de ganas de una buena polla dura, papi», mi sussurrò, la voce roca, mordicchiandomi il lobo dell’orecchio. Il mio cazzo pulsava contro di lei, e lei lo sentì: a un certo punto, in mezzo alla pista affollata, mi afferrò il pacco con una mano decisa, stringendolo forte attraverso la stoffa. Mi guardò dritto negli occhi, pupille dilatate, labbra socchiuse: «Mañana le digo que voy al cine con las amigas… y vengo a tu hotel para que me destroces toda, me rompas el coño y el culo como se merece».
Ci baciamo lì, in mezzo a tutti, lingua profonda, famelica, lei già bagnata fradicia – lo sentivo quando le infilai una mano tra le gambe per un secondo, le dita che scivolavano sulle mutandine intrise. Ballammo fino alle 5 del mattino, corpi sudati, respiri sincronizzati, ogni passo una scopata simulata in pubblico. Appuntamento preso. Non dormii quella notte, pensando solo a come l’avrei distrutta.

Seconda notte –

Hotel nel centro di Madrid, stanza al decimo piano con vista sulla Gran Vía. Ore 20:30, il messaggio: «Ya estoy en la lobby, subo». Il campanello suonò, aprii la porta e lì c’era lei: stesso vestitino giallo stretto da morire, tacchi alti che facevano risaltare quel culo leggendario, labbra rosse, occhi che già promettevano guerra.
Entrò, chiuse la porta con un colpo di tacco, senza dire una parola. Due minuti e già eravamo avvinghiati: la spinsi contro il muro dell’ingresso, le mani ovunque, strappandole quasi il vestito mentre ci baciavamo con violenza. Lei rideva, eccitata: «Tranquilo, papi, tenemos toda la noche». La portai in camera, la buttai sul letto a pancia in giù, culo in aria come un trofeo. Prese il telefono, scrisse al cornuto con un ghigno malizioso: «Amor, ya estoy en el cine con las chicas, no me llames ni escribas que estoy viendo la peli ». Inviò, gettò il telefono sul comodino e si girò a guardarmi: «Ahora sí… ven y rómpeme toda, que llevo meses soñando con una polla que me llene de verdad».
Non persi tempo. Le strappai il vestitino giallo di dosso con un gesto secco – si sentì il tessuto lacerarsi leggermente – rivelando un reggiseno bianco di pizzo che conteneva a stento quelle tette perfette, sode, quarto abbondante. Glielo slacciai, le tette balzarono fuori, capezzoli marroni duri come chiodi. Le afferrai, le strizzai forte, lei inarcò la schiena gemendo. Poi giù, il perizoma nero minuscolo: glielo strappai via, lasciandola completamente nuda, gambe aperte sul letto.
Mi gettai tra le sue cosce, la leccai come un affamato: lingua lenta sulle labbra gonfie, già bagnate come una fontana, succhiando il clitoride fino a farla tremare. Infilai due dita dentro, curvandole, pompando forte mentre la lingua non si fermava. Urlava già: «¡Ay papi, sí, así… me vengo, me vengo!». Il primo orgasmo la travolse in meno di cinque minuti, il corpo che si contraeva, schizzi caldi sulle mie dita.
Non le diedi tregua. Mi spogliai in fretta, cazzo duro e venoso che puntava in alto. La girai a pecorina, culo in bella vista, le diedi due schiaffi forti che la fecero arrossare. Entrai in un colpo solo nel suo coño: stretto, caldo, bagnato fradicio, mi avvolse come una guaina perfetta. Pompavo forte, profondo, i coglioni che sbattevano contro di lei. Lei spingeva indietro, implorando: «¡Más fuerte, rómpeme!». Le infilai due dita nel culo mentre la scopavo, lubrificate dal suo stesso umore – entravano facili, lei impazziva.
«¡Métemela por el culo, papi, entra como mantequilla!», gridò. E aveva ragione: mi ritirai dal coño, appoggiai la cappella sul suo buco stretto e spinsi. Scivolò dentro lento ma inesorabile, centimetro per centimetro, caldo stretto che mi stringeva da morire. Lei urlava di piacere, spingendo indietro per prenderlo tutto. La scopai nel culo con ritmo crescente, mani sui suoi fianchi, tirandola contro di me. Veniva di nuovo, forte, il culo che pulsava intorno al mio cazzo, quasi mi faceva sborrare subito.
La girai supina, le misi le gambe sulle spalle e ripresi a scoparla nel coño, alternando colpi profondi. Lei si toccava il clitoride, occhi rovesciati. Poi mi spinse giù sul letto, invertendo i ruoli: «Ahora me toca a mí». Mi prese il cazzo in bocca fino in gola, succhiando come una professionista, lingua che girava, saliva ovunque. Mi guardò con quegli occhi da diavola pura e, senza preavviso, infilò due dita nel mio culo, massaggiando la prostata mentre mi succhiava come una bestia. Non ressi più: le tirai fuori, mi masturbai due secondi e le sborrai tutta la faccia – fiotti densi, bianchi, caldi che le colavano lenti sulla pelle cioccolato, sulle labbra, sul mento. Lei rideva estasiata, si leccava, si spalma la sborra sulle tette, sui capezzoli: «Mira qué rico… mi marido nunca me ha dado ni la mitad. Esto es leche de hombre de verdad».
Non era finita. La ripresi, la scopai sul pavimento della stanza, lei a cavalcioni su di me, poi contro la finestra con vista sulla città, poi di nuovo sul letto finché non venne altre tre volte, esausta, il corpo lucido di sudore e fluidi. Alla fine, si rivestette lenta, sensuale: perizoma nero che tornava su un culo ancora aperto, arrossato, che pulsava; reggiseno bianco sui segni rossi dei miei denti e delle mie mani. Si guardò allo specchio, si passò la lingua sulle labbra ancora appiccicose di sborra, si sistemò i capelli.
«Ahora voy a casa, le doy un beso de buenas noches al cornudo en la boca… y huelo a ti, a sexo salvaje, toda la semana», disse con un sorriso trionfante.
Porta chiusa.
Spagna flaccida 0 – Colombia scopata in ogni buco, riempita, usata come si deve 100.
E già stiamo messaggiando per la prossima trasferta.

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